Quando ognuno dei congiurati ebbe sguainato il pugnale, Cesare, circondato, e incontrando ovunque volgesse lo sguardo solo i colpi e le armi sollevate contro il suo volto e i suoi occhi, braccato come una bestia, venne a trovarsi imprigionato nelle mani di tutti; era infatti necessario che tutti avessero parte alla strage e assaporassero il suo sangue.
Plutarco, Vita di Cesare, 66-10
COSTANTINO KAVAFIS, Idi di marzo, da La memoria e la passione
Le grandezze paventa,
anima. Le ambizioni, se vincerle non puoi,
secondale, ma sempre cautelosa, esitante.
Quanto più in alto sali,
tanto più scruta, e bada.
E quando all’acme sarai giunto, ormai,
Cesare, quando prenderai figura
d’uomo così famoso, allora bada,
quando cospicuo incedi per via col tuo corteggio:
se mai, di tra la massa, ti s’accosti
un qualche Artemidoro, con uno scritto in mano,
e dica in fretta: «Lèggi questo súbito,
è cosa d’importanza, e ti riguarda»,
allora non mancare di fermarti, non mancare
di differire colloqui e lavori,
di rimuovere i tanti che al saluto
si prostrano (più tardi li vedrai).
Anche il Senato aspetti. E lèggi súbito
il grave scritto che ti reca Artemidoro.
Plutarco, Vita di Cesare, 65:
“Anche Artemidoro un professore di eloquenza greca nativo di Cnido e per questo fatto entrato in confidenza con alcuni dei compagni di Bruto così da conoscere gran parte di quanto tramavano contro Cesare, si fece avanti con in mano un piccolo rotolo di papiro, dove aveva scritto tutto ciò che intendeva rivelargli. Ma vide che Cesare, ogni rotolo che riceveva, lo passava ad uno dei suoi segretari che aveva al suo fianco. Perciò gli si fece vicino più che poté e disse: «O Cesare questo leggilo tu solo e prontamente. Contiene notizie di straordinaria importanza per te ». Cesare lo prese e disse che l’avrebbe letto, se non ne fosse stato impedito dalla ressa della gente che si faceva avanti. Più volte tentò, ma alla fine entrò in Senato tenendo stretto in mano e conservando, di tutti quel foglio solo.”
P. e V. TAVIANI, Cesare deve morire, 2012
Il luogo della cremazione di Cesare:
Luce sull’archeologia: LE IDI DI MARZO A LARGO ARGENTINA
Paolo Brogi, Nuove scoperte sulla morte di Giulio Cesare, ”Corriere della Sera”, 11 ottobre 2012
ROMA – Giulio Cesare è morto nel cuore di Roma antica. Dove, per la precisione, è ancora difficile stabilirlo anche se gli ultimi scavi archeologici indicherebbero come luogo del decesso largo Argentina. Di sicuro, lo scranno su cui era seduto in quelle idi di marzo del 44 a.C. non è stato ancora trovato, come spiega l’archeologa Marina Mattei della sovrintendenza comunale di Roma. Tuttavia è stato rinvenuto il muro cementizio in cui sarebbe stato collocato quello scranno… Il quotidiano spagnolo El Pais nei giorni scorsi è corso un po’ avanti – con una notizia infondata – affidando la scoperta del sedile (non ancora trovato) a uno studioso spagnolo del Csic (Consejo Superior de Investigaciones Cientificas), Antonio Monterroso, ma è stata una forzatura. Eppure Cesare morì da queste parti, in una delle aree monumentali più note della moderna Capitale.
NON-LUOGO ARCHEOLOGICO – E’ certo che nell’area archeologica di Largo Argentina sono stati identificati la sede della Curia di Pompeo e il muro di tamponatura con cui Augusto poi procedette a chiudere il primo Senato romano. La Curia al Foro Romano ha accolto il Senato venuto dopo. Ed è sicuro, infine, che tutta questa area sacra dell’Argentina, in cui si scava e si studia ormai da sei anni, scoperta nel 1926 da Giuseppe Marchetti Longhi e divenuta nel tempo un non-luogo archeologico lasciato abbastanza a se stesso e ai gatti, ora – con la scoperta dell’area in cui morì Cesare – è candidata finalmente a voltare pagina trasformandosi in un vero sito archeologico monumentale visitabile.
«APRIRE AL PUBBLICO» – «Tutti i miei sforzi – dice Marina Mattei che lavora in questa area da sei anni – sono tesi ad aprire ai visitatori questo che è il cuore della Roma repubblicana». Umberto Broccoli, sovrintendente comunale, aggiunge: «Il cantiere archeologico chiuderà entro il 2013…». Il giallo del luogo in cui sarebbe morto Giulio Cesare è legato all’area adiacente al lato del Teatro Argentina. Si tratta di un muro di tamponatura sovrastato da un pino secolare che svetta alto. E’ ciò che resta del primo Senato romano, quello della Curia di Pompeo. E’ volto in direzione di Campo de’ Fiori dove all’altezza di piazza dei Satiri è stato rinvenuto il Teatro di Pompeo.
UCCISO SOTTO LA STATUA DI POMPEO – Sulla sommità del teatro c’era il tempio di Venere Genitrice. Tutta lo spazio è dunque frutto dell’urbanizzazione di Pompeo a metà del primo secolo a.C. nell’area di Campo Marzio. Fonti come Svetonio dicono che Augusto lo chiuse. Dunque, il muro ritrovato è quello fatto costruire da Augusto. Svetonio dice anche che la statua di Pompeo fu trasferita, Cicerone aggiunge che sotto quella statua è morto Giulio Cesare. «Stiamo analizzando tutti questi elementi – spiega Marina Mattei -. Siamo partiti dalla pianta della Curia e stiamo indagando sulla struttura e questo lavoro è condiviso con gli spagnoli che hanno investito in questa area…».
Sono quattro i resti di tempio oggi visibili, sono indicati da lettere che vanno dalla a alla d. Difficili le attribuzioni. Al centro dell’area si erge il tempio più conservato, a pianta rotonda, del II secolo, dedicato alla Fortuna huiusce diei. Ai suoi due lati altri due templi di epoca precedente: quello forse di Giuturna e l’altro dedicato a Feronia.
LA CHIESA BIZANTINA – Il quarto edificio (quello verso Corso Vittorio) poi ospitante una chiesa bizantina dell’alto medioevo (di cui si ammirano ancora affreschi e mosaici) è quello dedicato ai Lari Permarini protettori dei naviganti. Tutte attribuzioni da verificare ancora. «Abbiamo lavorato e scavato in tutto questo complesso grazie a un paio di milioni di euro derivati da fondi Arcus – spiega l’archeologa -. Con noi collaborano cattedre universitarie come quella di Patrizio Pensabene, topografi, epigrafisti, geologi con cui abbiamo fatto carotaggi. Il tutto per ottenere in primo luogo i rilievi e la verifica dei documenti e delle fonti antiche. La Spagna ha inoltre finanziato le indagini al laser scanner del Csic, utili soprattutto per le ricostruzioni topografiche».
FONTI DI RILETTURA STORICA – Insomma verifica attenta di tutte le fonti e rilettura di questa complessa struttura organizzata su oltre quattro secoli di vita, in cui si nasconde l’epicentro della storia repubblicana romana. Un posto dove, questo è certo, il 15 marzo del 44 è morto Giulio Cesare. A sorvegliare il luogo si erge la torre medievale che dà nome allo slargo. E’ chiusa, c’è il progetto di aprirla e farla diventare il centro visitatori. Intanto sui muri dell’angusto luogo scorrazzano indisturbati (e fotografatissimi) i gatti romani di tutti i colori.
«Perché il suo orrore sia perfetto, Cesare, incalzato ai piedi di una statua dagl’impazienti pugnali dei suoi amici, scopre tra le facce e gli acciai quella di Marco Giunio Bruto, il suo protetto, forse suo figlio, e non si difende più ed esclama: «Anche tu, figlio mio!».
Shakespeare e Quevedo raccolgono il patetico grido.
Al destino piacciono le ripetizioni, le varianti, le simmetrie; diciannove secoli dopo, nel sud della provincia di Buenos Aires, un gaucho è aggredito da altri gauchos e, nel cadere, riconosce un suo figlioccio e gli dice con mite rimprovero e lenta sorpresa (queste parole bisogna udirle, non leggerle): “Come, tu!”. Lo uccidono e non sa che muore affinché si ripeta una scena». Jorge Luis Borges, La trama, “L’artefice”, 1960