Nato in Spagna, portò l’impero alla massima estensione. Scampò a un terremoto e costruì un ponte rimasto per un millennio il più lungo. La moglie introdusse il primo welfare per i bambini. Una mostra lo celebra a 1.900 anni dalla morte
LIVIA CAPPONI, “La Lettura”, 31 dicembre 2017
Marco Ulpio Nerva Traiano, di cui Roma celebra i 1.900 anni dalla morte con una mostra ai Fori Imperiali, fu il primo imperatore proveniente da una provincia e non dall’Italia. Originario di Todi, ma nato nel 53 d.C. a Italica (Andalusia), come generale di successo portò l’impero alla sua massima espansione, secondo un piano grandioso già auspicato da Giulio Cesare. Dodici anni dopo che il suo predecessore Domiziano aveva stipulato con il re di Dacia (Romania) Decebalo una pace ignominiosa, Traiano conquistò la regione in due campagne (101-102 e 105-106) motivate soprattutto dal desiderio di gloria, oltre che di sfruttare le miniere d’oro della Transilvania, e stabilì il Danubio come confine naturale dell’impero.
Rimanevano da fare i conti con l’impero dei Parti, eredi dei Persiani: una vittoria contro di loro avrebbe consentito a Traiano di configurarsi come il nuovo Alessandro Magno. Dopo accurati preparativi strategici, dalla costruzione di porti (Ancona, Fiumicino, Civitavecchia, Terracina) alla conquista dell’Arabia, allo scavo di un canale fra il Nilo e il Golfo di Suez, e accordi diplomatici con città e re locali, nel 113 Traiano partì per l’Oriente, e dopo i primi successi, nel 114 il Senato gli decretò il titolo di Optimus, «il migliore», che lo rendeva assai fiero perché si riferiva alle qualità morali ancor più che a quelle militari (Cassio Dione). Il soprannome stabiliva un parallelismo ideale fra Traiano e Iuppiter Optimus Maximus, contribuendo ad avvicinare l’imperatore al dio. Ad Antiochia Traiano trascorse l’inverno del 115, e in dicembre sopravvisse miracolosamente a un terremoto che sconvolse la città per diversi giorni. Si salvò fuggendo da una finestra dell’abitazione in cui si trovava — secondo la leggenda circolata in seguito, fu portato fuori pericolo da una creatura di dimensioni sovrumane, celebrata sulla monetazione del 115 come «Giove salvatore del padre della patria».
Il sovrano sopravvisse anche a numerosi attentati sul fronte: già dall’età di cinquant’anni era infatti facilmente riconoscibile per i capelli bianchissimi. Ripartito per la guerra, a gennaio del 116 entrò nella capitale dell’impero partico, Ctesifonte, dove fu salutato come Imperator e prese il titolo di Parthicus, atto che segnò la fine della guerra. Di qui in poi, però, la sua proverbiale fortuna lo abbandonò.
Dalla Libia e dall’Egitto, una grande insurrezione ebraica si estese a Cipro, Siria, Mesopotamia e Giudea. I territori appena conquistati furono persi, e dovettero essere sottomessi con gravi perdite. Gli Ebrei, che chiamavano Traiano «Trogianus il malvagio», capovolgimento consapevole del soprannome Optimus Princeps, si scagliarono in una disperata guerra contro gli dèi e l’impero, in cui distrussero templi e monumenti pagani con preciso intento iconoclasta. È possibile che la campagna orientale di Traiano fosse stata interpretata come lo sconvolgimento dei popoli che, secondo i testi scritturali, preannunciava l’avvento del Messia; il terremoto di Antiochia del 115, per di più, poté essere visto come l’annuncio della salvezza. Circolarono varie leggende sulle atrocità commesse sia dagli Ebrei sia dal generale africano Lusio Quieto, poi destituito da Adriano, successore di Traiano. Intanto, l’imperatore fu colpito da ictus e altre malattie. Si mise in viaggio per l’Italia, ma non vi giunse: morì per edema polmonare o infarto a Selinunte in Cilicia (Turchia) ai primi di agosto del 117.
Molto importante fu il ruolo delle donne di Traiano, soprattutto della moglie Pompeia Plotina, originaria di Nîmes e detta da Plinio sanctissima foemina; non ebbe figli ma fu influente in politica e si propose col marito come benefattrice della società civile — l’institutio alimentaria fu il primo esempio di politica di welfare per i bambini poveri dell’Italia. Lei e la sorella di Traiano, Ulpia Marciana, furono divinizzate alla morte e ricevettero un culto pubblico. L’ideologia della coppia imperiale era il buon governo di stampo paternalistico secondo i principi dell’etica stoica; un impero pacificato, cosmopolita, ecumenico, culturalmente ellenizzato, sostenuto da una classe dirigente provinciale a scapito del tradizionale primato politico ed economico dell’Italia e del Senato di Roma.
Altra figura emblematica fu Apollodoro di Damasco, architetto di origini arabe (il suo vero nome era Abodat) e intimo amico di Traiano, che poi finì ucciso per aver criticato Adriano. Apollodoro fu l’artefice di opere d’avanguardia; tra queste, oltre a porti e acquedotti, il Foro, i Mercati traianei e la Colonna traiana, sul cui fregio a spirale, geniale storytelling per fotogrammi, è egli stesso ritratto mentre inaugura con l’imperatore il ponte sul Danubio, lungo 1.135 metri, costruito in soli due anni per consentire il passaggio dell’esercito in Dacia: i resti sono ancora visibili presso Drobeta in Romania. Per oltre mille anni fu il più lungo ponte ad arcate del mondo.