GIORGIO IERANÒ, “La Stampa Tuttolibri”, 4 luglio 2020
Così Ulisse è ucciso da suo figlio: storie di dei ed eroi si snodano come un romanzo dalle mille varianti
Un Achille che rifiuta l’eroismo, un Teseo che entra nel Labirinto senza il filo d’Arianna, un Odisseo che muore assassinato dal figlio avuto con la maga Circe. Nel suo ultimo libro Maria Grazia Ciani guarda al mito da prospettive spesso inconsuete. Rintraccia, tra le pieghe dei classici, le ipotesi di racconti mitologici paralleli, appena adombrati dagli antichi. Ma insegue anche le continue metamorfosi delle leggende antiche, comprese le loro più recenti riscritture fumettistiche, inaugurate da Dino Buzzati con la sua rivisitazione della storia di Orfeo ed Euridice nel Poema a fumetti.
Il libro è un intreccio caleidoscopico di riflessioni sul mondo del mito e della letteratura antica. Ma è anche il bilancio (provvisorio) di un’intera vita dedicata allo studio dei greci e allo sforzo di riproporli, senza mai facili attualizzazioni, nel linguaggio della contemporaneità. Perché Ciani, oltre a essere una grande studiosa, è anche una grande traduttrice. All’inizio degli anni Novanta, le sue traduzioni dell’Iliade e dell’Odissea, dove il verso epico viene trasformato in una prosa limpida e scorrevole, hanno rotto il canone dell’Omero italiano, che, dopo il Monti e il Pindemonte, aveva conosciuto una sola vera frattura, quella rappresentata dalle versioni di Rosa Calzecchi Onesti, nate sotto gli auspici di Cesare Pavese.
Non stupisce, quindi, che proprio Omero domini nel libro di Maria Grazia Ciani. Per esempio, con il ritratto di un Achille che è un po’ diverso da quello che pensiamo di conoscere. Quando Odisseo scende nel regno dei morti incontra, tra le altre anime, anche l’ombra di Achille. Che gli dice parole sorprendenti e inattese per un personaggio che dovrebbe essere il simbolo dell’eroismo e delle virtù guerriere: «Vorrei essere il servo di un padrone povero che pochi mezzi possiede, piuttosto che regnare su tutte le ombre dei morti». Spesso questi versi vengono liquidati come una variante minore rispetto al ritratto di Achille nell’Iliade, che si presume monolitico, tutto concentrato sull’idea della «bella morte» in battaglia, garanzia di fama e immortalità.
Ma Ciani, giustamente, lega i versi dell’Odissea a quanto Achille dice anche nell’Iliade, quando i greci gli vengono a chiedere di deporre la sua ira funesta e ritornare in battaglia, promettendogli gloria e bottino. L’eroe risponde, in sostanza, che se ne infischia della gloria, che un vile e un coraggioso, da morti, sono uguali, e che nulla per lui vale quanto essere vivo. È un Achille, nota Ciani, che sembra avere «già compreso l’assurdità della bella morte». E l’episodio ci ricorda come gli eroi omerici non siano figurine di un teatro morale ma personaggi complessi e conflittuali. Nei quali, come per tutti i greci, al di là di ogni retorica, prevale l’amore concreto ed elementare per la vita, la comprensione che nulla è più bello della «amabile luce del sole», per dirla sempre con Omero.
E che dire di Odisseo? Anche la sua figura, così come è consacrata da Omero, è ritagliata tra mille Odissei possibili. Che, ogni tanto, però, affiorano tra le righe del racconto omerico. Per esempio, l’immagine di Odisseo come perfido ingannatore (si pensi all’Eneide) balena nel fatto che le mirabolanti avventure con Circe e i Ciclopi, Scilla e le Sirene, sono, nel poema omerico, narrate dalla voce stessa del protagonista, lasciando aperto il dubbio, già avanzato dagli antichi, che siano tutte spudorate menzogne. O si pensi alla finestra sul futuro che Omero inserisce nel suo poema con la famosa profezia di Tiresia sull’ultimo viaggio di Odisseo, poi messa a frutto anche da Dante nella Divina Commedia. Qual è in effetti, si domanda Ciani, la sorte di Odisseo dopo avere ucciso i Proci? Una risposta veniva offerta già da un poema arcaico, databile al VI secolo a. C., dove si narra come il re di Itaca fosse stato ucciso per errore da Telegono, il figlio che aveva avuto con Circe. Poi il suo corpo sarebbe stato sepolto proprio nell’isola Eea, dove abitava la maga. La mitologia, ci insegna Ciani, non è un mondo chiuso, ma un universo mobile e cangiante. Se noi, per esempio,presumiamo di sapere che Teseo entrò nel Labirinto con il filo donatogli da Arianna, ecco che Ciani evoca un’altra storia dove l’eroe si addentra nella casa del Minotauro con in mano una corona d’oro che gli illumina il cammino. Forse lo stesso gioiello che, secondo il mito, oggi risplende nel cielo trasfigurato nella costellazione della Corona Borealis. Così, alla fine, il libro di Maria Grazia Ciani sembra inseguire lo stesso obiettivo che l’autrice assegna alle favole degli antichi cantori: aprirci gli occhi «Sulla dura realtà della vita umana ma anche sull’infinità dei possibili e sulla potenza dell’immaginazione ».