Cremuzio Cordo in Seneca e Tacito:
SENECA, Consolatio ad Marciam, 3
Ut vero aliquam occasionem mutatio temporum dedit, ingenium patris tui, de quo sumptum erat supplicium, in usum hominum reduxisti et a vera illum vindicasti morte ac restituisti in publica monumenta libros quos vir ille fortissimus sanguine suo scripserat. Optime meruisti de Romanis studiis: magna illorum pars arserat; optime de posteris, ad quos veniet incorrupta rerum fides, auctori suo magno inputata; optime de ipso, cuius viget vigebitque memoria quam diu in pretio fuerit Romana cognosci, quam diu quisquam erit qui reverti velit ad acta maiorum, quam diu quisquam qui velit scire quid sit vir Romanus, quid subactis iam cervicibus omnium et ad Seianianum iugum adactis indomitus, quid sit homo ingenio animo manu liber.
Appena invero il cambiamento dei tempi te ne offrì l’occasione, hai messo a disposizione della gente l’intelletto di tuo padre, che era stato condannato a morte, l’hai sottratto dalla vera morte ed hai restituito alla pubblica memoria i libri che quel valoroso ed eroico uomo aveva scritto con il suo sangue. Hai reso un grandissimo servigio alla cultura romana: gran parte di quei libri era stata bruciata; ai posteri, ai quali giungerà fedele la realtà dei fatti, ascritta al loro grande autore; a lui stesso, di cui è vivo e vivrà il ricordo finché sarà apprezzata la conoscenza della storia romana, finché qualcuno vorrà sapere cosa sia un Romano, cosa sia un uomo rimasto indomito quando ormai le teste di tutti erano già piegate e costrette sotto il giogo di Seiano, cosa sia un uomo libero di intelletto, di animo e di azione.
25 d. c., principato di Tiberio. Il processo e la morte di Cremuzio Cordo.
Cornelio Cosso Asinio Agrippa consulibus Cremutius Cordus postulatur novo ac tunc primum audito crimine, quod editis annalibus laudatoque M. Bruto C. Cassium Romanorum ultimum dixisset. Accusabant Satrius Secundus et Pinarius Natta, Seiani clientes. Id perniciabile reo et Caesar truci vultu defensionem accipiens, quam Cremutius relinquendae vitae certus in hunc modum exorsus est: ‘Verba mea, patres conscripti, arguuntur: adeo factorum innocens sum. Sed neque haec in principem aut principis parentem, quos lex maiestatis amplectitur: Brutum et Cassium laudavisse dicor, quorum res gestas cum plurimi composuerint, nemo sine honore memoravit. Titus Livius, eloquentiae ac fidei praeclarus in primis, Cn. Pompeium tantis laudibus tulit ut Pompeianum eum Augustus appellaret; neque id amicitiae eorum offecit. Scipionem, Afranium, hunc ipsum Cassium, hunc Brutum nusquam latrones et parricidas, quae nunc vocabula imponuntur, saepe ut insignis viros nominat. Asinii Pollionis scripta egregiam eorundem memoriam tradunt; Messala Corvinus imperatorem suum Cassium praedicabat: et uterque opibusque atque honoribus perviguere. Marci Ciceronis libro quo Catonem caelo aequavit, quid aliud dictator Caesar quam rescripta oratione velut apud iudices respondit? Antonii epistulae Bruti contiones falsa quidem in Augustum probra set multa cum acerbitate habent; carmina Bibaculi et Catulli referta contumeliis Caesarum leguntur: sed ipse divus Iulius, ipse divus Augustus et tulere ista et reliquere, haud facile dixerim, moderatione magis an sapientia. namque spreta exolescunt: si irascare, adgnita videntur.
Non attingo Graecos, quorum non modo libertas, etiam libido impunita; aut si quis advertit, dictis dicta ultus est. Sed maxime solutum et sine obtrectatore fuit prodere de iis quos mors odio aut gratiae exemisset. num enim armatis Cassio et Bruto ac Philippensis campos optinentibus belli civilis causa populum per contiones incendo? an illi quidem septuagesimum ante annum perempti, quo modo imaginibus suis noscuntur, quas ne victor quidem abolevit, sic partem memoriae apud scriptores retinent? suum cuique decus posteritas rependit; nec deerunt, si damnatio ingruit, qui non modo Cassii et Bruti set etiam mei meminerint.’ Egressus dein senatu vitam abstinentia finivit. Libros per aedilis cremandos censuere patres: set manserunt, occultati et editi. Quo magis socordiam eorum inridere libet qui praesenti potentia credunt extingui posse etiam sequentis aevi memoriam. nam contra punitis ingeniis gliscit auctoritas, neque aliud externi reges aut qui eadem saevitia usi sunt nisi dedecus sibi atque illis gloriam peperere.
Nell’anno del consolato di Cornelio Cosso e di Asinio Agrippa, venne sottoposto a processo Cremuzio Cordo con una imputazione nuova e inaudita: nei suoi Annali, appena pubblicati, aveva tessuto l’elogio di Marco Bruto e chiamato Gaio Cassio l’ultimo dei Romani. Lo accusavano Satrio Secondo e Pinario Natta, clienti di Seiano. Tale circostanza si rivelò fatale per l’accusato, ed era brutto segno il volto indurito di Cesare nell’ascoltare la difesa, che Cremuzio, sicuro di dover lasciare la vita, pronunciò in questi termini: «Si mettono sotto accusa, o padri coscritti, le mie parole: a tal segno sono prive di colpa le mie azioni. Ma esse non sono rivolte contro l’imperatore o la madre dell’imperatore, le sole persone protette dalla legge di lesa maestà. Mi si imputa di aver lodato Bruto e Cassio, quando molti ne hanno narrato le gesta, e nessuno senza celebrarne il ricordo. Tito Livio, il più grande di tutti per lo stile e il rigore storico, celebrò con tante lodi Gneo Pompeo che Augusto lo chiamava il Pompeiano, il che non offuscò la loro amicizia. E Scipione e Afranio e questo stesso Cassio e questo Bruto non li chiama banditi e parricidi, termini oggi di moda, ma li cita spesso come uomini insigni. Gli scritti di Asinio Pollione tramandano splendida memoria di loro; Messalla Corvino amava ricordare Cassio come suo comandante e l’uno e l’altro furono colmati di ricchezze e di onori. Al libro di Marco Cicerone, in cui Catone era innalzato alle stelle, in che altro modo diede una risposta il dittatore Cesare, se non con un altro discorso, quasi fossero davanti a dei giudici? Le lettere di Antonio, i discorsi di Bruto
contengono giudizi feroci, anche se calunniosi, nei confronti di Augusto; leggiamo le poesie di Bibaculo e di Catullo piene di attacchi ai Cesari: eppure lo stesso divo Giulio, lo stesso divo Augusto le tollerarono senza intervenire, non saprei dire se per moderazione o più per saggezza. Si tratta di affermazioni che, se non raccolte, svaniscono; una reazione irosa la si legge come un’ammissione di verità. 35. Non voglio toccare i Greci, di cui non solo le manifestazioni di libertà, ma perfino gli eccessi restavano impuniti; e chi volle reagire, si vendicò delle parole con le parole. Ma soprattutto c’era piena libertà, senza opposizione alcuna, di pronunciare giudizi su quanti la morte aveva sottratto all’odio o all’amore. Infiammo forse il popolo alla guerra civile, mentre Cassio e Bruto occupano in armi la piana di Filippi? E come a settant’anni dalla loro morte li riconosciamo nelle statue, che neppure il vincitore ha osato abbattere, perché non possono avere la loro parte di ricordo nelle opere degli storici? La posterità conferisce a ciascuno l’onore che merita. E non mancherà, se mi colpisce la vostra condanna, chi si ricorderà non solo di Cassio e di Bruto, ma anche di me.» Poi uscì dal senato e si lasciò morire di fame. I senatori decretarono il rogo, per mano degli edili, dei suoi libri; ma sopravvissero, prima nascosti e poi divulgati. Un motivo in più dunque per deridere la bassezza di quanti, forti della loro potenza nel presente, credono che si possa estinguere anche il ricordo nel futuro. Al contrario anzi, l’ingegno perseguitato acquista autorità crescente. Infatti i re stranieri e quanti hanno fatto ricorso alla stessa intolleranza, sono riusciti solo a provocare disonore a sé e notorietà alle loro vittime.
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