Tanta illi palloris insaniam testantis foeditas erat, tanta oculorum sub fronte anili latentium torvitas, tanta capitis destituti et ~emendacitatis~ capillis adspersi deformitas; adice obsessam saetis cervicem et exilitatem crurum et enormitatem pedum.
«Tanto era ripugnante il suo pallore, sintomo di pazzia, tanto erano torvi i suoi occhi, infossati sotto una fronte da vecchia, tanto era brutta la sua testa, spelata e spruzzata di un po’ di capelli; aggiungi il collo irsuto di ispidi peli, e le gambe sottili e i piedi enormi.»
Seneca, De constantia sapientis, 18, 1
Iulius Caesar Germanĭcus (Anzio, 12 d. C. – Roma, 41 d. C), figlio di Germanico e di Agrippina maggiore, soprannominato Caligula dalla calzatura militare (calǐga) che portò fin da fanciullo, divenne princeps alla morte di Tiberio, nel 37 d. C. Quattro anni dopo, nel 41 d.C., fu ucciso in una congiura di pretoriani. LEGGI TUTTO…
“Seneca è stato il primo […] a parlare nei suoi scritti, a proposito di Caligola, di pazzia (furor e insania). Ma se si esaminano con maggior attenzione quei passi, si constata come egli non abbia emesso alcun giudizio clinico, ma si sia limitato, colmo di odio, a rimproverare all’imperatore defunto un comportamento tirannico e l’annientamento della libertà. Lamenta la vergogna che sarebbe così ricaduta sul l’Impero romano. Il termine «pazzia» è usato come un insulto per fustigare l’immoralità e il sovvertimento di tutte le convenzioni aristocratiche. In senso analogo Seneca parla di «pazzia» anche quando descrive quelle donne che, dedite a un lusso esagerato, portavano appesi alle orecchie gioielli del valore di due о tre patrimoni di famiglia. È infine da sottolineare come in diversi passi dei suoi scritti abbia usato per Alessandro Magno espressioni quasi identiche, definendolo «folle» e «megalomane», un parallelo sul quale Caligola non avrebbe avuto nulla da obiettare”. A. Winterling, Caligola. dietro la follia, Roma-Bari, Laterza, 2005
“Questo resterà il gran segreto del mio regno. Tutto quello che oggi mi si può rimproverare è di aver fatto qualche passo avanti sulla via della potenza e della libertà. Per un uomo che ama il potere, la rivalità degli Dei ha un leggero sapore di provocazione. Io l’ho soppressa. Ho provato a questi Dei illusivi che un uomo, se ne ha voglia, può esercitare senza tirocinio il loro ridicolo mestiere”.
A. Camus, Caligola, 1937-1958, I atto, IV scena
Elicone: Buon giorno Gaio.
Caligola: Buon giorno Elicone.
Elicone: Sembri affaticato.
Caligola: Ho camminato molto.
Elicone: Sì, la tua assenza è durata a lungo.
Caligola: Era difficile da trovare.
Elicone: Che cosa?
Caligola: Ciò che volevo.
Elicone: E che volevi?
Caligola: La luna.
Elicone: Cosa?
Caligola: La luna. Sì, volevo la luna.
Elicone: Ah, e per fare cosa?
Caligola: Ebbene, è una delle cose che non ho.
Elicone: Sicuramente. E adesso è tutto a posto?
Caligola: No, non ho potuto averla.
Elicone: è seccante
Caligola: Sì, ed è per questo che sono affaticato… Elicone…
Elicone: Sì, Gaio?
Caligola: Tu pensi che io sia folle…
Elicone: Sai bene che io non penso mai. Sono troppo intelligente per pensare.
Caligola: Sì, d’accordo. Ma non sono folle e posso dire perfino di non essere mai stato così ragionevole come ora. Semplicemente mi sono sentito all’improvviso un bisogno di impossibile. Le cose così come sono non mi sembrano soddisfacenti.
Elicone: E’ un’opinione abbastanza diffusa.
Caligola: E’ vero, ma non lo sapevo prima. Adesso lo so. Questo mondo così com’è fatto non è sopportabile. Ho bisogno della luna, o della felicità o dell’immortalità, di qualcosa che sia insensato forse, ma che non sia di questo mondo.
Elicone: E’ un ragionamento che sta in piedi. Ma, in generale, non lo si può sostenere fino in fondo, non lo sai?
Caligola: Tu, Elicone, non ne sai nulla; è perchè non si sostiene mai fino in fondo che nulla è mai ottenuto. Ma basta forse restare logici fino alla fine. Io so ciò che pensi. Quante storie, tu pensi, per la morte di una donna di cui ero innamorato. No, no, non è questo; credo di ricordarmi che una donna che amavo qualche giorno fa è morta.Ma cos’è l’amore? Poca cosa. Questa morte non è niente, te lo giuro. Essa è solo il segno di una verità che mi rende la luna necessaria. E’ una verità molto semplice e perfettamente chiara, un po’ stupida per te, ma difficile da scoprire e pesante da portare.
Elicone: E qual è questa verità, mio imperatore?
Caligola: Gli uomini muoiono e non sono felici.
Elicone: Andiamo, Gaio, questa è una verità con la quale ci si può benissimo arrangiare! Guardati attorno; non è questa una verità che impedisca loro di mangiare e di ballare.
Caligola: Allora è che tutto attorno a me è menzogna, questi uomini sono tutta menzogna, e io, io voglio che si viva nella verità. Da imperatore voglio che si viva nella verità , e io ho proprio i mezzi per farli vivere nella verità, poiché io so ciò che manca loro, Elicone. Essi sono privi di conoscenza e manca loro un maestro che sappia ciò di cui si parla.
Elicone: Non offenderti, Gaio, di ciò che ti sto per dire, ma dovresti prima riposarti un po’… sei stanco.
Caligola: Questo non è possibile, Elicone, non sarà mai più possibile.
Elicone: Perché dunque?
Caligola: Se dormo, chi mi darà la luna?
Elicone: Questo è vero.
Caligola: Ascolta, Elicone, sento dei passi e un rumore di voci. Non parlare e dimentica di avermi appena visto.
Elicone: Ho capito.
Caligola: E, ti prego, aiutami ormai.
Elicone: Non ho ragioni per non farlo, Gaio, ma non so molte cose e poche mi interessano. In che cosa, dunque, ti posso aiutare?
Caligola: Nell’ impossibile.
Elicone: Farò del mio meglio!