Antiche lezioni di tolleranza

Greci e Romani non hanno mai fatto una guerra per affermare la propria religione su un’altra. È quello che ci suggerisce nel suo libro Maurizio Bettini

Roberto Escobar

“Il Sole 24 Ore – Domenica”,  5 ottobre 2014

I Greci e i Romani non hanno mai fatto una guerra per affermare la propria religione su un’altra. La circostanza è sotto i nostri occhi, ma non la vediamo. È bene stupirsene, sia della circostanza, sia del fatto che non la vediamo. Questo ci ricorda e ci suggerisce Maurizio Bettini in un libro dal titolo trasparente: Elogio del politeismo. Quello che possiamo imparare oggi dalle religioni antiche.
Per quanto la nostra cultura affondi le radici in quella classica, a noi mancano parole che ne indichino direttamente la religione. La chiamiamo idolatria o paganesimo, termini coniati dal cristianesimo vincente. Mai gli antichi li avrebbero usati. E neppure avrebbero usato politeismo o politeistico, che hanno senso solo in una prospettiva monoteistica. Per i Greci e i Romani era ovvio che gli dèi fossero plurali, e non c’era alcun bisogno di ribadirlo con un sostantivo o un aggettivo.
D’altra parte, l’intento di Bettini non è solo liberare la religione classica dal peso fuorviante e spregiativo del lessico cristiano. Il suo intento è anche e soprattutto indicare nella sua visione del mondo, nel suo vivere e procedere un concreto valore d’esperienza, una capacità di far fronte a problemi e a conflitti sociali e politici più e meglio del monoteismo.
Centrale in questa prospettiva è la nozione di tolleranza. Nata dalle guerre di religione che hanno coperto di sangue l’Europa, nella tolleranza c’è comunque l’impronta dell’intolleranza. Essere tolleranti significa astenersi dall’azione violenta nei confronti dell’altro e della sua fede, ma sempre considerando questa un errore e quello un peccatore.
Al di fuori del proprio dio, e anzi al di fuori del proprio modo di intendere quel dio, per il tollerante non c’è verità. La fede e la verità si identificano, per lui come per l’intollerante. I due abitano uno spazio religioso e umano comune: il primo astenendosi con prudenza dal trarne conseguenze più o meno violente, il secondo pronto a farlo anche con passione omicida.
Non erano tolleranti, i Greci e i Romani. Non essendo intolleranti, non ne avevano bisogno. I secondi, in particolare, consideravano gli dèi degli altri non una minaccia – e neppure una falsità –, ma una risorsa (prima di conquistare una città, per esempio, con il rito dell’evocatio ne chiamavano fuori con pio rispetto il dio, pronti a integrarlo nel loro pantheon).
Nessun dio romano si professava geloso, come invece quello monoteistico, che nasce pretendendo signoria totale sulla complessità della vita e degli esseri umani. Piuttosto, ognuno partecipava a un sistema multiforme, in movimento. Per spiegarlo, Bettini propone un parallelo con il linguaggio.
Come accade alle parole che usiamo nei nostri discorsi, anche fra gli dèi romani c’erano un rapporto e un confronto ininterrotti. E se dai nostri discorsi nascono nuove parole, dal rapporto e dal confronto tra dèi nascevano dèi nuovi, che andavano ad arricchire l’intero pantheon.
Questo non valeva solo dentro i confini del mondo romano, ma anche fuori, nell’incontro con dèi stranieri. Era questa l’interpretatio: una mediazione interpretativa, un compromesso raggiunto mediante valutazioni e congetture tra un dio straniero e quello romano che più sembrava essergli vicino. Il risultato era un nuovo dio, o una modificazione e un arricchimento del vecchio.
Al pari di una lingua ben viva, la religione romana si modificava, si muoveva, cresceva. Che bisogno avrebbe mai potuto avere d’esser tollerante? Era invece curiosa, attenta alla relazione con gli dèi degli altri, aperta al loro valore d’esperienza. Attenzione e apertura, queste, che l’assolutismo monoteistico rende impossibili.
Se dio e la verità si identificano, ogni altro dio e ogni altra verità non potranno essere che falsi, perciò da combattere, vincere, eliminare. Per proseguire nella metafora linguistica, i monoteismi sono lingue bloccate: lingue in cui il discorso – la progressione di parola in parola, verso parole e idee nuove – è negato dalla fissità di un testo dato una volta per tutte, e sottratto a ogni interpretatio. Questo loro “blocco” li rende solidi, ma anche aggressivi.
In termini politici contemporanei, si può sospettare che lasciati a sé, in assenza di limiti e correttivi, i monoteismi tendano a opporsi alla laicità e alla democrazia, nel senso che alla pluralità delle opinioni, al loro confronto aperto e “discorsivo” preferiscono l’assoluto di una verità unica e gelosa.
E se anche così non fosse, resterebbe il fatto increscioso che, al contrario del mondo greco e romano, quello cristiano e quello islamico sono stati e restano zeppi di guerre fatte nel nome di dio. Se non altro, dalle religioni antiche dovremmo imparare almeno questo.

Maurizio Bettini, Elogio del politeismo. Quello che possiamo imparare oggi dalle religioni antiche, il Mulino, Bologna, pagg. 156

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