Matteo Nucci, minimaetmoralia.it
3 novembre 2016
Quando aveva cinque anni e tutti i suoi compagni prendevano le parti di Achille, Ettore o al limite Agamennone, Piero Boitani sceglieva Odisseo. Fra gli eroi omerici, l’uomo “dalle molte astuzie” non era affatto il più ambito e gli amici gli domandavano il motivo della scelta. Sicuramente, sessantaquattro anni fa, Boitani non poteva rispondere come oggi, ma già al tempo doveva avere avuto l’intuizione che sulla forza muscolare finisce per prevalere l’intelligenza astuta, la capacità di prevedere, l’abilità nel prepararsi, nascondersi, camuffarsi, sottrarsi.
E sicuramente aveva già ben chiaro in mente quello che oggi può raccontare sulla base della mole immensa di studi che ha accumulato durante una vita: ossia che l’intelligenza di Odisseo prende definitiva forma durante anni e anni di viaggi, scoperte, navigazioni oltre ogni terra prima conosciuta. Tanto che l’Odisseo esploratore è certo quello che ha prevalso nell’immaginario letterario, poetico, figurativo e artistico in senso lato, durante i secoli che sono seguiti.
Una prova è il tomo dalla portata enciclopedica con cui Boitani torna in libreria. Il grande racconto di Ulisse (il Mulino, pp. 669) è una gigantesca opera (“più di due chili” dice lui in un sogghigno) in cui lo studioso, docente di Letterature Comparate a “La Sapienza” di Roma, corsi alle spalle in tutto il mondo e soprattutto in America, traccia un quadro del successo della figura di Odisseo attraverso i secoli, un quadro immenso e inevitabilmente incompiuto, perché resistere al fascino odissiaco in ogni epoca e cultura è stato e rimane quasi impossibile.
“Abbiamo a che fare con il primo romanzo della letteratura occidentale. Forse anche il migliore. Tecniche modernissime vengono usate: c’è il lungo flashback in cui Odisseo racconta le sue peripezie partendo da Troia, ma c’è anche il flashforward in cui Tiresia prepara l’eroe al suo futuro. Quando raccontiamo la trama di quest’opera inarrivabile non c’è nessuno che non resti a bocca aperta, dai bambini agli adulti. Un po’ di anni fa tenni un corso in un’università americana. Erano studenti che dei poemi omerici non sapevano assolutamente nulla. La mia lezione si chiudeva alle cinque e, alle quattro e cinquantanove, i ragazzi erano sempre pronti a correre via. Finché un pomeriggio iniziai a raccontare l’Odissea. Mi persi nei meandri della storia e a un tratto, mentre ero ancora lontano dalla fine, guardai l’orologio: erano le cinque e mezza. Alzai la testa e vidi che erano tutti immobili, seduti, aspettavano che continuassi con un’espressione di meraviglia stampata in faccia”.
È la stessa meraviglia di Alcinoo re dei Feaci quando dice a Odisseo che vuole ascoltarlo per tutta la notte, “fino all’Aurora lucente”. La meraviglia filosofica di cui parla Aristotele. Quella che spinge Odisseo a non smettere mai di desiderare conoscenze. “L’Odisseo esploratore è quello a cui io ho dato sempre il primo posto. In parte perché io stesso mi sono identificato in quel tipo umano, fin da quando mia madre mi portava a visitare i Musei Vaticani e nella galleria dei mappamondi, dove vediamo l’America che prende forma man mano che la scoprono, io ero convinto che fosse stato Odisseo a scoprirla. Del resto le scene odissiache delle Nozze Aldobrandini le vedevo subito dopo nelle sale accanto, e così fantasticavo. Non potevo immaginare che l’idea di un Odisseo primo navigatore oltreoceano verso le Americhe fosse già stata sostenuta. Lo scoprii più tardi assieme a mille altre storie. Inesauribili, certo. Forse è per questo che la conoscenza non ha incrinato il mio bisogno di identificazione. Ho viaggiato molto e se è ormai impossibile scoprire nuovi mondi, tuttavia mi sono lanciato a ripercorrere i grandi viaggi. Ora progetto di volare in Antartide. Vede, la cosa sconcertante è che è difficilissimo trovare un esploratore che non si sia almeno in parte ispirato a Odisseo. Persino Schackleton, quando attraversava l’Antartide seguendo Scott, recitava l’Ulisse di Tennyson.
Eppure, perdendosi fra gli infiniti riferimenti letterari e iconografici di questo libro, si ha l’impressione che l’esploratore sia sì al primo posto, ma venga in un certo senso prodotto da uno stato mentale odissiaco che ha risvolti inattesi, per esempio il modo in cui lo ritrarranno Platone eppoi Joyce. “Indubbiamente. Odisseo è l’eroe che pensa prima, che soppesa ogni gesto, è cauto e prudente. Quando incontra Nausicaa si ferma e si domanda subito se sia meglio avvicinarsi e inchinarsi alle sue ginocchia o parlarle da lontano e visto che è un naufrago nudo capisce che è meglio parlarle da lontano, a prescindere poi dal geniale discorso che saprà proporle. Per questo l’eroe che racconta Platone nel mito di Er lascia già presagire la figura dell’antieroe che troveremo in Joyce. Secondo Platone, Odisseo nell’aldilà deve scegliere l’anima per la prossima reincarnazione e, grazie alle esperienze accumulate e la capacità di ragionare preventivamente, stavolta cerca la vita di un individuo anonimo, un privato che nessuno conosce, una vita priva di seccature. Ossia l’everyman che sarà Leopold Bloom. Ma, vede, le trasformazioni di Odisseo nelle rielaborazioni letterarie sono infinite”.
Il grande racconto di Ulisse lo dimostra a ogni pagina. Letterati di qualsiasi provenienza, epoca e cultura. Da Dante a sconosciuti palestinesi, fino a Conrad, Eliot, Borges, Kafka, Poe, Nietzsche, Baudelaire. Una storia infinita testimoniata da innumerevoli immagini. “Le mie preferite? Il ciclo di Pellegrino Tibaldi a Bologna, quello perduto di Primaticcio e Dell’Abate a Fontainebleau, poi Chagall, Dalì, Picasso. E Ugo Attardi che è morto da poco. Autore di una statua di Ulisse che si trovava davanti alle Twin Towers. È sopravvissuta, è ancora lì. Quando ne parlo in America, l’emozione è grande. A testimonianza di quanto in America la nostra cultura classica sia ancora profondamente ammirata. Pensi che, anni fa, volevano a tutti i costi che fondassimo un nostro Liceo classico a New York: non se ne fece nulla per l’incapacità del nostro Stato di dare risposte adeguate. Be’, poi sa, il Liceo Classico adesso vogliono smantellarlo. Non si capisce il motivo di questa propensione suicida. Le racconto una cosa. Nel 1996 organizzai un grande convegno su Ulisse a Roma. Fummo invitati al Quirinale. Il Presidente Scalfaro ci ascoltò eppoi intervenne. Parlò della questione omerica per quarantacinque minuti. Professori da tutto il mondo impallidirono. Mi chiesero come fosse possibile che un Capo di Stato ne sapesse così tanto. Dissi loro: “è il Liceo Classico italiano degli anni Trenta!” Adesso le cose sono diverse, ma quel Liceo resta ancora una ricchezza incalcolabile. Chi vuole distruggerlo è un pazzo, un Polifemo. Ma no, esagero, macché Polifemo. Quello almeno, oltre a mangiare uomini, produceva ottime caciotte”.