La sua tragedia parla soprattutto della giustizia
Eva Cantarella, “Corriere della Sera”, 9 gennaio 2018
La tragedia di Edipo ha inizio il giorno in cui questi, a bordo del suo carro, giunge a un crocicchio dove, al termine di un diverbio, uccide il proprietario di un carro arrivato insieme al suo, che pretendeva gli fosse data la precedenza: senza sapere che quell’uomo era suo padre. Edipo, infatti, si credeva figlio del re di Corinto Polibo, al quale era stato consegnato da neonato, e che lo aveva cresciuto come fosse suo figlio. Non sapeva che il suo vero padre era Laio, il re di Tebe, che lo aveva abbandonato in fasce, sperando in questo modo di evitare una maledizione secondo la quale sarebbe stato ucciso da suo figlio, scagliata contro di lui da Pelope, del quale egli aveva violentato uno dei figli. Per questo, quando sua moglie Giocasta aveva partorito Edipo, Laio (dopo aver forato con un ferro le caviglie del bambino per poterlo appendere a una correggia, donde il nome Edipo, che vuol dire «piede gonfio»), aveva ordinato di abbandonarlo.
Ma torniamo al momento dell’incidente stradale, per così chiamarlo. Il diverbio sulla precedenza aveva avuto luogo mentre Edipo tornava da Delfi, dove il dio, da lui interrogato per sapere perché un compagno di giochi lo aveva chiamato «bastardo», gli aveva dato un terribile responso: «Un giorno ucciderai tuo padre e sposerai tua madre». Più che comprensibilmente sconvolto, Edipo non osava tornare a Corinto, terrorizzato all’idea di uccidere quelli che credeva i suoi genitori, e aveva preso la strada per Tebe, dove, incontrandolo, aveva ucciso Laio: ancora non lo sapeva, ma la prima parte dell’oracolo si era avverata, e la seconda stava per avverarsi. Proseguendo per il suo cammino, infatti, egli era giunto alle porte di Tebe, dove aveva incontrato la Sfinge: un essere orribile, dal corpo di leone e la testa di donna, che terrorizzava e uccideva i Tebani, ponendo un enigma insolubile e divorando chi non sapeva risolverlo. Ma Edipo ci era riuscito: alla domanda «qual è l’essere che cammina a volte a due gambe, a volte a tre, a volte a quattro, ed è più debole quando ha più gambe?», aveva risposto: «È l’uomo, che da bambino cammina su mani e piedi, da adulto sulle due gambe, e da vecchio appoggiato a un bastone». Sconfitta, la Sfinge si era suicidata e i Tebani, in segno di riconoscenza, gli avevano offerto in moglie la vedova di Laio: Giocasta, sua madre. Anche la seconda parte dell’oracolo si era avverata, e la tragedia di Edipo stava per compiersi.
La città era stata colpita da una grave carestia che, secondo l’oracolo, sarebbe cessata solo quando fosse stato allontanato l’uccisore di Laio. Al termine di una lunga inchiesta, condotta dallo stesso Edipo, la verità viene scoperta: alla luce della spaventosa rivelazione, Giocasta si impicca ed Edipo si acceca.
Così finisce la tragedia Edipo re di Sofocle, ma la storia non si conclude qui: a raccontare il seguito, infatti, è di nuovo Sofocle nell’Edipo a Colono.
Cieco, vecchio e stanco, Edipo, con le figlie Ismene e Antigone, che ha avuto da Giocasta, giunge ad Atene, dove un tuono annuncia che è arrivato il momento della sua morte. Ma questo Edipo, quello che muore ad Atene, è molto diverso da quello dell’Edipo re. E proprio per questo è il personaggio che offre ai Greci l’occasione per riflettere sul problema della responsabilità e della colpa.
Nell’Edipo re, infatti, quando scopre la verità Edipo si punisce accecandosi, anche se, come ha detto, ha agito «perché era scritto». In altre parole: non aveva agito volontariamente. Era stato il destino, erano stati gli dèi che avevano mosso la sua mano. Ma nell’Edipo a Colono afferma che in lui non esiste «macchia di colpa» e quindi non può essere biasimato, perché, dice, «ho subito, non volendo, uccisioni e nozze e sventure: se l’oracolo vaticinò a mio padre che sarebbe morto per mano mia, come è possibile accusare me, che allora non ero stato neppur generato?»
Sono radicalmente diversi i due Edipi sofoclei. Per capirne la ragione bisogna pensare al momento in cui andarono in scena: un momento in cui era ancora forte lo scontro tra la nuova civiltà giuridica, per la quale si rispondeva solo degli atti compiuti volontariamente, e l’antica cultura della vendetta, per la quale l’atteggiamento soggettivo dell’agente non aveva alcuna rilevanza: contavano solo i fatti. La tragedia di Edipo rifletteva le contraddizioni di un momento storico in cui Atene discuteva con il suo passato.
E adesso veniamo all’interpretazione moderna del mito. Quasi superfluo ricordare che a partire dal 1900, anno della pubblicazione dell’ Interpretazione dei sogni di Sigmund Freud, esso è considerato la base della teoria secondo la quale il primo impulso sessuale infantile sarebbe indirizzato verso la madre, mentre verso il padre si rivolgerebbe il primo impulso di odio e violenza. L’eventuale riaffiorare di simili impulsi in età adulta sarebbe la causa di stati patologici, che la psicoanalisi dovrebbe curare attraverso un percorso di ricerca nei meandri della psiche analogo a quello condotto da Edipo alla ricerca della verità. Ma la storia di Edipo raccontata da Sofocle non è l’unica che la mitologia greca ha tramandato, e non è quella originaria.
In Omero Giocasta (chiamata Epicaste) si uccide, ma Edipo non si acceca né va in esilio. Egli continua a vivere e muore nella sua città, rimanendone il re: in Omero, come ha scritto lo storico francese Jean-Pierre Vernant, troviamo «un Edipo senza complesso», per il quale l’incesto non era un tabù. Del resto, la Teogonia di Esiodo non è forse un susseguirsi di incesti, che non sembrano creare alcun problema? L’incesto è aggiunto alla storia di Edipo da Sofocle, e da lui usato con indiscutibile efficacia come materiale tragico. L’interpretazione freudiana, basata esclusivamente sull’Edipo sofocleo, non tenendo conto della complessità dei miti, può portare fuori strada chi cerca di capire quello dello sfortunatissimo re di Tebe.
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