Filosofia dello straniero


“Come è stato ormai definitivamente dimostrato, nelle lingue indoeuropee il termine che designa lo straniero contiene contemporaneamente in sé l’intero repertorio delle accezioni semantiche dell’alterità, e cioè il forestiero, l’estraneo, il nemico – ma anche lo strano, lo spaesante – in una parola tutto ciò che è altro da noi, anche se con noi viene comunque in rapporto. Questa indistinzione di significati risulta con particolare evidenza dai termini che ritroviamo in latino e greco, e che poi ricompaiono, sia pure con variazioni lessicali e semantiche significative, anche in alcune lingue moderne.

In latino, per un lungo periodo, straniero si dice hostis. Contrapposto al cittadino, all’ingenuus, a colui che appartiene per nascita, dunque per sangue e cultura, alla comunità originaria di riferimento, il termine hostis, che indica lo straniero, concentra in se’ tutte le figure dell’alterità, senza tuttavia coincidere affatto – come accadrà invece molto più tardi – con una caratterizzazione “ostile”, senza cioè riferirsi unicamente a colui che venga dall’esterno con intenzioni “bellicose”.

Dell’originaria polivalenza del termine hostis troviamo una esplicita testimonianza in un passo del De Officis (I, par. 37), nel quale Cicerone ricostruisce il processo storico che ha condotto a sovrapporre al termine hostis quel significato di inimicus, o perduellis (e cioè “nemico pubblico”), che è invece assente nell’accezione primitiva dello straniero-hostis. Tutto ciò è confermato anche dagli altri termini impiegati per indicare lo straniero. Egli è, infatti, l’advena, vale a dire “colui che viene da fuori”, ovvero è il peregrinus, colui che è al di fuori dei limiti della comunità. In tutti i casi, “non esistono ‘stranieri’ in sé. Nella diversità di queste nozioni, lo straniero è sempre uno straniero particolare, colui che è sottoposto ad uno statuto distinto” [1].

Nella Legge delle XII Tavole, l’hostis era semplicemente colui che non apparteneva al popolo romano, verso il quale tuttavia occorreva far valere i diritti previsti per i cittadini romani [2]. Da questo punto di vista, l’hostis indicava lo straniero quod erat pari iure cum populo romano, vale a dire colui che ai fini del diritto civile era equiparato ai romani. Lo stesso verbo che ritroviamo alla radice di hostis, vale a dire hostire, equivale ad aequare, contraccambiare, uguagliare, o compensare. Entro questo contesto, hostis viene a indicare colui con cui si è in relazione di compenso (hostia prima di avere un valore religioso – sacrificio di bovini che si fa prima di un evento – aveva un significato giuridico e indicava il pareggio dei doni ospitali). Ciò significa che l’hostis era colui che, proveniendo dall’esterno, era stato eguagliato in diritto al cittadino rimano, sulla base di qualche accordo o patto.

Nel suo significato arcaico, l’hostis rinvia dunque all’idea di un rapporto con l’altro, di un legame non originario né naturale, basato sull’obbligo di compensare una qualche prestazione, della quale uno dei contraenti del patto sia stato beneficiario. Solo successivamente il termine hostis assumerà una connotazione antagonistica, agonica, e si caricherà di significato ostili; solo allora lo “straniero” diventerà un nemico. Insomma, “le nozioni di nemico, di straniero, di ospite, che per noi formano tre unità distinte – semantiche e giuridiche – presentano strette connessioni nelle lingue indoeuropee antiche”[3].

Nel mondo latino la non coincidenza tra lo straniero e il nemico risulta anche più evidente se si analizza l’evoluzione dell’espressione hostis, espressione che comunemente indica il nemico. Secondo il celebre “criterio” del politico enunciato da Carl Schmitt nel 1932, “nemico non è il concorrente o l’avversario in generale. Nemico non è neppure l’avversario privato che ci odia in base a sentimenti di antipatia.Nemico è solo il nemico pubblico..il nemico e l’hostis[4]. In una fase successiva, la fase della vera e propria civiltà romana, testimoniata appunto da Cicerone, il termine hostis viene ad indicare il nemico e dalla stessa radice (ghosti) viene coniato il termine hospes per indicare l’ospite.

L’ambivalenza racchiusa nel significato originario ( la reciprocità poteva dar luogo all’ospitalità come alla guerra) si scioglie: l’hostis indica in modo univoco lo straniero con cui si ha un rapporto di belligeranza, l’hospes quello con cui si stabiliscono rapporti di ospitalità. Contemporaneamente, si assiste ad una differenziazione dei termini con cui si definisce colui con cui si hanno rapporti di ostilità a seconda della sua posizione rispetto alla civitas e alle istituzioni politiche: se hostis è il nemico esterno e pubblico, nemico della città di Roma, con cui si combatte, inimicus è il nemico interno e privato, il concittadino con cui si ha una relazione antagonistica fino alla possibilità dell’annientamento fisico, competitor è invece l’avversario in un conflitto d’interessi [5]. In questo senso è lo straniero, in primo luogo, colui che può divenire hostis. Ma l’hostis non esaurisce in alcun modo il significato dello straniero per il quale resta sempre aperta la possibilità di divenire ospite, oggetto di dono e di accoglienza”.

U. CURI, Università di Padova  LEGGI TUTTO…

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