… ed ecco Persefone. L’intero mosaico è stato portato alla luce ed oggi il Ministero della Cultura greco ha diffuso le immagini complete del pavimento musivo della seconda stanza della tomba di Anfipoli. La scena rappresenta il rapimento di Persefone (rossi capelli al vento e tunica bianca) da parte di Plutone, dio dell’Ade, alla guida del carro trainato da due cavalli bianchi.
Lo sguardo di Persefone è volto all’indietro, al luogo dal quale è stata rapita “mentre giocava con le figlie di Oceano / dal florido seno, e coglieva fiori: / le rose, il croco e le belle viole, su molle prato; /coglieva le iridi e il giacinto, e anche il narciso” (Inno a Demetra).
Plutone, “il figlio di Crono, con le cavalle immortali”, è proteso in avanti, nella corsa verso il suo regno notturno:
“Afferrata la dea, sul suo carro d’oro, riluttante e in lacrime,
la condusse via; la fanciulla gettò alte grida,
invocando il padre Cronide, sovrano possente.
Ma nessuno degli immortali o degli uomini
mortali udì la sua voce, e neppure gli ulivi di frutti splendenti.
[…]
Intanto, con il volere di Zeus, rapiva la dea riluttante
il Cronide dai molti nomi, fratello del padre, che è signore
di molti uomini e molti ne accoglie, con le cavalle immortali”.
Hermes contempla noi, gli spettatori della rinascita di Persefone e dei suoi miti ctonii e misterici, legati alla madre Demetra e ad Eleusi. Fu Hermes a ricondurre Persefone alla madre, adirata con gli altri dèi, alla vita – almeno temporanea – sulla terra:
“O Ade dalle cupe chiome, che regni sui morti, Zeus, il padre, mi ordina di condurre fuori dell’Erebo, fra gli dei, l’augusta Persefone, affinché la madre rivedendola coi suoi occhi ponga fine al rancore e all’ira inesorabile contro gli immortali; poiché medita un grave progetto: sterminare la debole stirpe degli uomini nati sulla terra tenendo il seme celato sotto la zolla e distruggendo le offerte che spettano agli immortali. Tremendo è il suo rancore; e non si unisce agli dei, ma, in disparte, entro il tempio odoroso d’ incenso siede, e abita l’aspra rocca di Eleusi.”
Le citazioni sono tratte dall’Inno a Demetra, che fa parte dei cosiddetti Inni omerici (VII sec. a.c.)