Latinorum

                              […] magis utile nil est
artibus his, quae nil utilitatis habent.
Ovidius, Epistulae ex Ponto, 1, 5, 53-56

“Ma la ragione giusta la dirò io,” soggiunse Renzo: “è perché la penna la tengon loro: e così, le parole che dicon loro, volan via, e spariscono; le parole che dice un povero figliuolo, stanno attenti bene, e presto presto le infilzan per aria con quella penna, e te le inchiodano sulla carta, per servirsene, a tempo e luogo. Hanno poi un’altra malizia; che, quando vogliono imbrogliare un povero figliuolo, che non abbia studiato, ma che abbia un po’ di… so io quel che voglio dire…” e, per farsi intendere, andava picchiando, e come arietando la fronte con la punta dell’indice; “e s’accorgono che comincia a capir l’imbroglio, taffete, buttan dentro nel discorso qualche parola in latino, per fargli perdere il filo, per confondergli la testa”.
A. Manzoni, I promessi sposi, cap. XIV

“Vostra Eccellenza mi permette di parlare latino?”
Il prefetto si sentì bagnare la schiena da un rivolo di sudore. Fin dal momento che si era imbattuto in rosa-rosae aveva capito che quella era la sua vestia nera.
“ Ferraguto, in honfidenza, a scuola non ero mi’a bravo”.
Don Memè allargò il sorriso leggendario.
“Ma che ha capito, Eccellenza? Da noi, in Sicilia, parlare latino significa parlare chiaro”.
“E quando volete parlare oscuro?”.
“Parliamo in siciliano, Eccellenza”.
“Vada avanti in latino”.
A. CAMILLERI, Il birraio di Preston, Palermo, Sellerio, 1995

Perché i classici?

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