Seneca, Tragedie

«Ogni tragicità è fondata su un conflitto inconciliabile. Se interviene o diventa possibile una conciliazione, il tragico scompare».
W. Goethe, Colloqui con Eckermann, 6 giugno 1824

Lucius Annaeus SenecaTragoediae  Hercules furens

 

“Il mondo degli eroi senecani, devastato dagli odi e dagli inganni, è quello della famiglia; non è il fato a spingerli all’azione, ma sentimenti e pulsioni che scaturiscono da rapporti interpersonali, come la rivalità tra fratelli per il regno, o il risentimento per il vincolo matrimoniale tradito. Così, anche nei drammi incentrati su una lotta per il potere (Agamemnon, Thyestes, Phoenissae), le conseguenze negative non riguardano tanto una comunità, quanto singoli ambiti familiari. Frater, pater, genitor, natus, noverca sono parole-chiave nel lessico di Seneca tragico: nella sua colpa Fedra è «matrigna» (noverca), Medea è in bilico fra i suoi sentimenti di madre e di moglie offesa, Elettra deve scegliere fra la memoria del padre Agamennone e la madre Clitemnestra. Un aspetto importante dei drammi di Seneca è il loro mettere a nudo le difficoltà di preservare il nucleo familiare e, insieme, la forza socialmente distruttiva che la sua disgregazione comporta. Su questa cupa rappresentazione di drammi familiari può avere pesato il momento autobiografico: alla corte imperiale, con cui Seneca fu a lungo a stretto contatto, era facile trovare risentimenti e antagonismi fra parenti, con i loro risvolti più sanguinosi (matricidio, ad esempio, o uxoricidio); e il clima opprimente del potere assoluto trova riflesso nelle molteplici figure di tiranni che popolano i suoi drammi. Riversando nelle tragedie la sua cultura, il suo pensiero e le sue esperienze, Seneca scava nell’animo dei suoi personaggi per mettere in luce quelle forze che possono condurre ad azioni tanto efferate: le passioni estreme, il furor che lacera l’animo nella sue lotta – alla fine, vincente – con la razionalità, sono mostrati in tutto il loro potenziale negativo e distruttivo. È su questo piano “educativo”, di ammaestramento morale, che le tragedie continuano il discorso delle opere filosofiche.
Peraltro, c’è un’indubbia propensione a enfatizzare l’aspetto truce e macabro – non assente del tutto neppure dalle prose – al fine di amplificarne la nature perverse: la morte della moglie e dei figli di Ercole, ad esempio, è accompagnata dalla descrizione del cervello che schizza fuori dal cranio per spappolarsi sul muro, e altrettanto raccapricciante è la scene del sacrificio del piccolo Astianatte (nelle Troades), che si sfracella gettato dall’alto delle mura di Troia. http://www2.classics.unibo.it/Didattica/LatBC/IntroSen.pdf

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